Gian Mario Selis il leader della coalizione autonomista

Ai microfoni di Graffiti

Autonomia, politica, università, referendum e giovani, i temi affrontati da Gian Mario Selis in una lunga chiacchierata con noi.

Di Marco Pistis e Andrea Lobina

 

Gian Mario Selis, se ne fa un gran parlare, a proposito ed ha sproposito, Lei cosa intende per Autonomia?

È una definizione complessa, che passa attraverso una prima dimensione socio-culturale, ed allora è la coscienza di un popolo che assume piena consapevolezza della propria identità, della propria storia, della propria cultura, e si connota e si relaziona e si differenzia anche dal resto delle altre culture e delle altre etnie.

Dal punto di vista istituzionale è l’applicazione del principio di responsabilità, o il principio di decentramento di tutti i poteri, che consentano ad un popolo di autogestire i propri bisogni, ed organizzare la propria vita collettiva. Questo principio deve trovare riscontro sia nell’organizzazione dello Stato nazionale che deve applicare il principio di sussidiarietà, quindi decentrare il massimo delle competenze, anche con una diversa organizzazione dello Stato, per es. nella nostra proposta una delle due camere è una camera federale, una Camera delle Regioni insomma; e le massime cariche dello Stato siano elette con una maggiore partecipazione del cittadino. Allo Stato centrale devono rimanere solo le competenze essenziali: la difesa, la giustizia, la moneta; la politica fiscale e tutte le altre competenze legislative devono essere trasferite a livello locale. L’autonomia è anche la capacità di organizzare le istituzioni dalla regione agli enti locali e di pensare l’ordinamento regionale come un sistema integrato dei poteri di governo.

Dal punto di vista economico l’Autonomia è la capacità della comunità e delle sue istituzioni di valorizzare le risorse umane, culturali e imprenditoriali e di pensare un proprio modello e processo di sviluppo con il quale essere protagonista in una società di globalizzazione

Lei ritiene che la Sardegna abbia le forze per attuare un’autonomia quantomeno economica e politica?

La Sardegna ha oggi una grande coscienza popolare e grandi risorse umane, culturali e imprenditoriali, probabilmente è in ritardo soprattutto la classe dirigente politica. La politica deve diventare un momento di catalizzazione delle altre classi dirigenti ed assieme creare un gruppo integrato politico imprenditoriale, sindacale, culturale amministrativo, capace di pensare il proprio futuro. Un freno oggi è posto anche dalle istituzioni, dall’aspetto legislativo (pensiamo solo alla legge elettorale), dalla crisi dei partiti, non colmata da altri soggetti politici. Questo ritardo causa chiaramente disagio da parte delle altre classi dirigenti che non trovano un valido punto di riferimento.

Parliamo di Referendum: il quorum è stato superato ma poca gente tutto sommato è andata a votare, pensa che i sardi siano totalmente disinteressati o che ci sia una completa sfiducia nelle istituzioni, anche considerando il fatto che è stato eletto presidente della giunta Mario Floris mentre i due candidati (Lei e Mauro Pili) che hanno preso il 90% dei voti sono relegati a ruoli di secondo piano rispetto a quanto gli elettori avevano indicato.

Per il referendum la legge è quantomeno strana, in quanto prevede un quorum ad un terzo, senza dare un interpretazione politica all’astensione, è un fatto che due terzi non si sono espressi, e questo svuota molto il significato del referendum.

Io trovavo singolare il referendum, non mi sono espresso perché faccio parte di una coalizione in cui erano presenti espressioni diverse, ma se era sostenuto dal 90% delle forze politiche, allora perché non si fanno le riforme? È stato un grande sondaggio, anche un occasione di coscienza collettiva, probabilmente costato un po’ troppo, ma ha sensibilizzato almeno l’opinione pubblica.

Per quanto riguarda la Presidenza della giunta, la differenza tra Pili e me è sostanziale: Pili sostiene Floris, io sono il punto di riferimento dell’opposizione. Noi abbiamo detto che dei due uno governa e uno fa l’opposizione, lui non fa né l’uno né l’altro. Al vertice della Sardegna troviamo due personaggi eletti con i resti: Efisio Serrenti e Mario Floris.

La Casa comune dei sardi: un soggetto politico che ha una sua dignità o solo una aggregazione formatasi per avere il massimo del potere contrattuale possibile?

Oggi è una formazione che ha negoziato il massimo del potere possibile, e non ha aggregato nulla, tant’è che ha disgregato i sardisti e sta disgregando altri soggetti autonomisti.

Il partito sardo sta vivendo una crisi profonda, non crede che parte di questo processo sia colpa del centrosinistra che non è riuscito a dare una risposta concreta alle richieste degli elettori sardisti?

Sicuramente quando ci sono delle crisi non ci si deve esimere dalle proprie responsabilità, e noi riteniamo importante un rapporto con il Partito sardo, quello autentico, quello che in qualche modo è riuscito a salvaguardare la propria storia e la propria identità. Se ci sono stati dei torti, e ci sono stati, dobbiamo trovare il modo di riparare.

Osservando alcune sedute del consiglio regionale abbiamo avuto modo di notare tanti giovani tra le file del Polo e molti meno tra le file della Coalizione Autonomista, pensa sia giunta l’ora di un ricambio?

Questo è un problema che abbiamo, che stiamo cercando di recuperare, ed in parte abbiamo anche recuperato, e vorremmo continuare a fare, ma facendo cose serie, formazione e crescita comune, non ci interessa invece portare i giovani in vetrina o cose di questo tipo, tra gli eletti in media non c’è molta differenza. Noi dobbiamo puntare ai giovani in una maniera seria e convinta, senza inseguire le mode e senza distribuire illusioni.

Università: ci sono le possibilità che abbai un ruolo nello sviluppo?

Io credo di sì, e credo anche che se pensiamo all’autonomia dell’Università in maniera restrittiva rischiamo di isolarla e senza neanche le risorse necessarie. L’autonomia va vissuta in un nuovo rapporto con enti locali, imprese, Regione e società, allora diventa momento di formazione di classe dirigente ed anche un tessuto integrato con il sistema economico e sociale. È essenziale che la Regione cammini al fianco dell’università e la sostenga, anche con nuove leggi a favore della ricerca scientifica, dobbiamo rivedere anche il Diritto allo Studio, aumentare gli scambi internazionali, ormai non esiste più la periferia, basta inserirsi nella rete di scambi e rapporti internazionali, ed oggi è molto importante.

Ha parlato di diritto allo studio, la regione non ha competenza primaria, ma non crede che si possa rivedere un sistema di parametri economici pensati più per la Lombardia che per il Meridione?

Io credo che si debba porre il problema della revisione del Diritto allo studio ed in questo tema anche una revisione dei parametri, non ridurrei il problema ai parametri, c’è anche un problema di qualificazione dell’offerta formativa, se si aumenta la capacità di offrire servizi, opportunità di crescita e formative il problema dei parametri diventa assolutamente non esclusivo.